Perché si parla di litio nell’Alzheimer
Un nuovo studio pubblicato su Nature (settembre 2025) ha portato alla luce un dato sorprendente: i livelli di litio endogeno nel cervello sono ridotti già nelle fasi precoci del declino cognitivo, e questa carenza sembra avere un ruolo nello sviluppo dell’Alzheimer.
Cosa hanno scoperto i ricercatori
- Livelli ridotti di litio nella corteccia prefrontale di pazienti con Alzheimer e con Mild Cognitive Impairment (MCI).
- Sequestro del litio da parte delle placche di beta-amiloide, che lo sottraggono alle aree sane del cervello.
- Modelli animali: una dieta povera di litio aumenta placche, tau fosforilata, infiammazione e perdita sinaptica.
- Ripristino con litio orotato (sale che non si lega alle placche): riduzione dei depositi, miglioramento della memoria e protezione delle sinapsi.
I meccanismi coinvolti
La carenza di litio attiva la chinasi GSK-3β, un enzima che favorisce la fosforilazione della proteina tau, l’accumulo di amiloide e processi infiammatori. Il litio, al contrario, ne inibisce l’attività e ha un effetto neuroprotettivo.
Quali sono le implicazioni cliniche
Questa scoperta apre nuove prospettive:
- Biomarcatori precoci: misurare i livelli di litio potrebbe aiutare a identificare chi è a rischio di Alzheimer.
- Strategie preventive: forme di litio a basso dosaggio e ben tollerate (come il litio orotato) potrebbero avere un ruolo protettivo.
- Nuova visione terapeutica: non solo “curare la malattia”, ma trattare l’invecchiamento cerebrale come processo unitario.
Attenzione ai limiti
Lo studio è promettente, ma ci sono alcuni punti da chiarire:
- La maggior parte delle prove proviene da modelli animali e da analisi post-mortem.
- Il litio carbonato usato in psichiatria non è indicato per la prevenzione, perché può avere effetti collaterali importanti (renali, tiroidei).
- Servono trial clinici sull’uomo per stabilire dosaggi, forme sicure ed efficaci.
Il punto di vista della medicina funzionale
In medicina funzionale, il litio può essere considerato un micronutriente del cervello, da monitorare insieme ad altri fattori come infiammazione, ossidazione, alimentazione e sonno. Il messaggio chiave non è “prendere litio per tutti”, ma integrare questa nuova conoscenza in un approccio globale di prevenzione.
Conclusioni
La ricerca sul litio e Alzheimer offre speranza: non solo perché chiarisce un nuovo meccanismo di malattia, ma anche perché mostra come alcuni danni possano essere prevenuti o ridotti. Il futuro della prevenzione non sarà una singola pillola, ma un insieme di strategie personalizzate che uniscono nutrizione, gestione dello stress, sonno, movimento e – forse – anche il litio.
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